Recensione: My Policeman

 My Policeman è la storia del tempo perduto. Tutte le occasioni perdute a causa dei pregiudizi degli altri che hanno un potere più grande sui nostri desideri. 


La storia del triangolo amoroso tra Patrick, Tom e Marion a cavallo tra la Brighton degli anni 50 e i recenti anni 90, racconta di un grande amore per l’arte e la bellezza, spesso ostacolata dai preconcetti, che non ha avuto il giusto tempo per fiorire e cerca di aggrapparsi all’ultima occasione che la vita gli sta dando.

My Policeman è un’occasione mancata.



Quella che poteva essere una nuova rappresentazione della community LGBTQ+ , che mostrava gli aspetti più sensibili e passionali di un amore che nell’Inghilterra degli anni 50 poteva essere incriminato, è diventato un film dedito più al fan service che al racconto di passione ed emozioni che prometteva. 

Il ruolo centrale è quello di Harry Styles, ovvero quello di Tom un semplice poliziotto di Londra che vuole migliorare se stesso, del resto ogni uomo dovrebbe migliorarsi, che scopre di essere attratto da Patrick, un cultore esteta che s’innamora del poliziotto riducendo la sua passione ad un ardore per il Dorian Gray in divisa. 



Nonostante infatti la pop star sia padrone del suo ruolo, si vede che è molto più coinvolto rispetto ad altri suoi ruoli cinematografici, è innegabile che non riesce ad uscire dall’alone di bellezza descritto da Oscar Wilde, sia perchè è da sempre un personaggio pubblico sessualizzato sia perché in My Policeman è visto come il bel poliziotto da conquistare e tenere tutto per sè sia da Patrick che da Marion, l’innocente insegnante che Tom seduce e sposa per velare la sua omossessualità.

Sia Patrick che Marion idolatrano la bellezza di Tom ma non a livello personale, sembrano amarlo per necessità, come se senza di lui perdono tutto quello che sono davvero, si annullano senza Tom, lui che è il loro dio che non vogliono condividere con nessuno neanche mostrando l’aspetto più passionale delle loro relazioni: le scene di sesso risultano dei corpi avvinghiati che bramano di scoprirsi ma non di amarsi, di provare piacere fino a stesso, in un grande triangolo egoistico.


La difficoltà maggiore di My Policeman è che non riesce ad essere coerente nel continuo alternarsi di presente e passato. Se negli anni 50 abbiamo un trio di giovani ragazzi che amano l’arte e parlano citando William Turner, che condivide in maniera clandestina il poliziotto belloccio, in una Brighton a colori ma confusa come le tempeste del pittore inglese, fin quando non diventa sembra più fredda e grigia con l’avvicinarsi della denuncia di Marion nei confronti di Patrick, colta da una gelosia fuori controllo, spaventata e inorridita dalla devianza sessuale dell’amico di suo marito.



E continua ad essere grigia la sceneggiatura del presente con il trio ormai dissolto che riscontra difficoltà a comunicare e comprendersi, loro che da ragazzi erano tutt’una cosa. Il grande problema è la mancanza di fluidità tra le due linee temporali, se nella lunga serie di ricordi la storia di My Policeman vengono presentati i protagonisti con una descrizione precisa e curata, quando ritroviamo Patrick a casa di Marion e Tom anni dopo risulta difficile comprendere cosa sta davvero succedendo, l’emozione cede il posto alla velocità e alle parole non dette, mostrando tre persone totalmente diverse rispetto ai ragazzi che erano.


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